Giusi Canestrelli: Il medico delle missioni impossibili

Giusi Canestrelli: Il medico delle missioni impossibili

Giusi Canestrelli in Antartide

“Perché ho effettuato tante missioni con Emergency e altre Ong? Alle volte ci si mette in gioco alla ricerca di un confronto con se stessi. Mi sono chiesta quindi se sarei stata all’altezza del lavoro che avrei dovuto svolgere in ospedali con attrezzature non adeguate rispetto a quelle che usavo a Sassari. Poi ho pensato che sarebbe stato sufficiente fare tesoro delle mie esperienze professionali. E così è stato”.

Parole di Giusi Canestrelli, 65 anni, nata in provincia di Agrigento da una famiglia di circensi. Lo erano stati i nonni, lo sono stati i suoi genitori, madre sassarese, padre veneto. Dal 2016 è primario della Cardioanestesia del SS. Annunziata di Sassari ed è prossima alla pensione. E’ una donna coraggiosa, tenace e un medico preparatissimo. Nel 1996 ha fatto la sua prima esperienza con Emergency in Cambogia, nell’ospedale di Battangham intitolato a Ilaria Alpi.

Che realtà ha trovato?
Ho fatto conoscenza per la prima volta con i danni che le mine provocano soprattutto sui civili e i bambini in particolare. Un pericolo costante. Residui della guerra lasciati davanti alle case dei cambogiani o sospinte dalle piogge in zone che erano state bonificate. Ho visto persone martoriate dalle schegge, private degli arti o con il viso deturpato. L’altra emergenza nell’ospedale era il numero di bambini con gravi malformazioni, soprattutto ai piedi, causate dalla mancanza di vaccinazioni. Ricordo in particolare un bimbo di quattro anni che aveva i piedi torti, una malformazione congenita che non gli consentiva di camminare né di stare in piedi. I nostri chirurghi ci sono riusciti. Dopo diversi interventi lo hanno rimesso in piedi

Gino Strada con alcuni collaboratori e Giusi Canestrelli

Nel 2004 lei è a Kabul al fianco di Gino Strada. In un ex asilo bombardato Emergency ha realizzato un Centro chirurgico per le vittime di guerra. Che esperienza è stata?
Dovevo organizzare corsi di formazione per tecnici di anestesia. Volevamo avvalerci di personale locale anche per i compiti più complessi, preparandoli alla professione medica o infermieristica. E’ stata creata una scuola per preparare il personale nelle varie discipline.

A Kabul sono stata tre mesi. Avevo casa di fronte all’ospedale ma per i primi due mesi avevamo l’obbligo di non allontanarci dalla zona di sicurezza dell’ospedale. E’ stata dura.
Nel 2005 Gino Strada lavora ad un progetto ambizioso: realizzare un moderno centro di Cardiochirurgia a Khartoum in Sudan. “Dovrà essere scandalosamente bello” disse sorridendo all’architetto Raoul Pantaleo. Lo ha ricordato anche nel suo libro “Una persona alla volta”: “Ci vollero due anni di lavoro per finire l’ospedale, installare i pannelli solari, tinteggiarlo di rosso e riempirlo di ficus e bouganville. E in mezzo, le discussioni su come portare cardiochirurghi in Sudan, quali piastrelle usare, dove trovare i fondi e impedire che in ospedale entrasse anche una sola mosca”.
L’ospedale era molto funzionale. Era dotato di 30 posti letto, aveva le stanze con bagno, nulla da invidiare ad una struttura occidentale.
Il 19 aprile del 2007 il Centro di Cardiochirurgia comincia l’attività. Il primo paziente ad entrare in sala operatoria è una ragazza, Sunia, aveva quattordici anni e viveva nel campo profughi di Mayo.

Lei c’era, ricorda Sunia?
Certo che la ricordo. Era la figlia di una nostra dipendente. Il giorno dell’intervento io mi sono occupata dell’anestesia e la collega Carla Pessina della terapia intensiva. I chirurghi hanno rimosso la valvola mitralica che non funzionava più e l’hanno sostituita. Dopo qualche ora Sunia ha potuto lasciare la sala operatoria.
Strada ha descritto così quel momento: “E’ stato il primo intervento di cardiochirurgia effettuato in un centro ospedaliero con assistenza gratuita in tutta l’Africa. Fino a quel momento l’unica prospettiva per i pazienti affetti da patologie cardiache di alta gravità erano gli ospedali occidentali, Barcellona in particolare”.

Strada ha definito la guerra in molti modi: ne ricorda uno in particolare?
Non c’è nulla di chirurgico nella guerra.

LA MISSIONE IN ANTARTIDE

“L’Antartide è di una bellezza estrema, incredibile. Per me poi, che amo i paesi freddi, come la Scandinavia, è stata una piacevole sorpresa”. Giusi Canestrelli e la passione per l’Antartide dove ha trascorso l’intero 2021. Ha fatto parte di una spedizione italo-francese organizzata dall’Enea e dall’Ipev con sede di ricerca permanente nella base Concordia.

Ce la descrive?
Immaginate due torri di tre piani collegate tra loro che svettano a 3300 metri di altezza. Distano 600 km dalla base russa e 1200 da quella statunitense. Un isolamento totale in un ambiente ostile dove di notte la temperatura percepita può scendere a 102° sottozero.

Da quante persone era composta la vostra spedizione?
Da dodici, sei delle quali italiane. Le professionalità erano state scelte in relazione agli studi previsti dalla missione. Oltre a me, medico cardioanestesista, c’erano un glaciologo, un fisico, uno station leader, un esperto di sismologia e geomagnetismo. Il sesto era un cuoco.

L’ambiente antartico, particolarmente durante la notte polare sul plateau, mostra profonde analogie con l’ambiente spaziale, Per questo motivo presso la base Concordia, completamente isolata durante l’inverno per oltre nove mesi, vengono effettuati studi internazionali sull’adattamento psico-fisico dell’uomo all’ipossia, all’isolamento, all’assenza di luce naturale.

Ho letto anche di possibili problemi respiratori
Si vive in una condizione di affanno continua, qualche volta si fa fatica a sopportarla. Durante il soggiorno in Antartide ho trattato tre casi seri tra i componenti della spedizione ma tutto si è risolto per il meglio. Una delle due torri che costituiscono la base Concordia è di fatto un ospedale attrezzatissimo con apparecchi radiologici, apparati per la ventilazione polmonare, la telemedicina. Quest’ultima è una grande opportunità per il medico della missione. Nel caso dovesse eseguire un intervento chirurgico può collegarsi utilizzando la telemedicina con i colleghi del Policlinico Gemelli di Roma. Saranno loro ad assistere costantemente il collega della base e a guidarlo nella riuscita dell’intervento.

Avete studiato gli effetti dell’ambiente sul fisico dei ricercatori?
Si, effettuavo su di loro periodici prelievi di sangue per verificare come cambiano le componenti del sangue a queste latitudini. Abbiamo accertato un aumento dell’emoglobina, la diminuzione delle difese immunitarie e alterazioni del ritmo sveglia-sonno.

E’ quello che si fa anche nelle spedizioni spaziali
Certo. C’è ancora molto da studiare ma sappiamo già che nello spazio uno degli effetti provocati dall’assenza di gravità è l’aumento dei globuli nel sangue.

Dottoressa, ha già un progetto per la sua vita da pensionata?
Onorerò il mio impegno con gli amici sassaresi di Emergency lavorando nell’ambulatorio che gestiscono a Santa Maria di Pisa. Il resto lo deciderò più avanti. Una cosa anzi l’ho già decisa: non andrò mai a lavorare in una struttura sanitaria privata.

Gibi Puggioni

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