Festa dell’informazione? No, gliel’hanno già fatta
Il 3 maggio si è CELEBRATA, non festeggiata, badate bene, la Giornata Mondiale dell’Informazione. Perché CELEBRATA in maiuscolo? Perché da festeggiare non c’è più niente da molto tempo nella nostra professione. I giornali, fatta eccezione per il Corriere della Sera, hanno bilanci in profondo rosso e perdono copie ogni giorno. La Rai poi sta subendo il più massiccio esodo di giornalisti e conduttori della sua storia. Effetto per larga parte attribuibile all’insopportabile pressione esercitata dal governo sui dirigenti scelti per controllare i vari settori dell’azienda affinché i giornalisti non disturbino il manovratore.
Nelle redazioni si percepisce talvolta un certo lassismo da parte dei giornalisti, anche di chi ricopre ruoli dirigenziali. Un esempio? Ormai le notizie false, messe in circolazione ad arte per condizionare l’informazione, hanno acquisito un peso rilevante e finiscono sui social come sui giornali. Eppure sarebbe sufficiente fare delle semplici verifiche per rilevarne la falsità e neutralizzarle. Il secondo esempio è quello degli errori o refusi che compaiono tutti i giorni sui giornali. Accadeva anche prima, è vero, ma non con la frequenza con cui si verificano oggi. Non si salva neanche la prima pagina.
Il risultato di tutto questo contribuisce al crollo della credibilità della stampa e della fiducia verso i giornalisti. Secondo i dati di un’inchiesta su “Democrazia e trasformazione dei media nel ventunesimo secolo” condotta da ricercatori delle università di Bologna, Milano e Venezia e pubblicata nel gennaio scorso sulla rivista Cogitatio (segnalazione del collega Pier Giorgio Pinna), meno dell’uno per cento degli intervistati mantiene una totale fiducia nel giornalismo, mentre chi non si fida più del giornalismo sarebbe un numero molto maggiore calcolato nel venti per cento circa della popolazione che ha risposto al sondaggio. Quasi la metà degli intervistati, circa il quarantasei per cento, ha risposto dicendo di avere poca fiducia nell’informazione attuale.
STAMPA E GIORNALISTI. Vanno tenuti distinti nell’analisi della crisi del settore. Sono scomparsi gli editori puri, quelli che gestivano i giornali con le loro risorse, e non con i finanziamenti pubblici, con apprezzabile sensibilità e rispetto verso i dipendenti e mantenendo una rigorosa autonomia dal potere politico. Negli anni è cambiato tutto. I giornali , con poche eccezioni e non certo nelle grosse testate, sono appiattiti al fianco (o al servizio?) dei governi locali e soprattutto di quello nazionale. Altrettanto dicasi per la Rai.
La libertà d’informazione è un ricordo. La professione del giornalista è diventata doppiamente rischiosa: l’editore ti può cacciare se hai tenuto la schiena troppo dritta davanti all’ultimo cretino impropriamente chiamato “onorevole” e la tua vita può diventare un inferno a seconda delle parole che hai usato per definire il conflitto Israele-Hamas o quello tra Russia e Ucraina.
Ormai per sfuggire alle catene di chi possiede i mezzi d’informazione devi raccontare le cose a tuo rischio e pericolo. Ricordate il caso di Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese, blogger di Running Commentary, fatta saltare in aria con la sua auto? Era l’ottobre del 2017. Aveva denunciato il malaffare che teneva saldamente legati uomini di governo e esponenti della criminalità maltese. E’ nata in quell’occasione l’associazione Daphne Project costituita da una ventina di testate europee, L’Espresso per l’Italia, i cui giornalisti hanno preso in mano, con la copertura dei loro giornali, le inchieste lasciate aperte da Daphne e le hanno concluse costringendo la magistratura a incriminare gli esecutori del delitto e alcuni dei mandanti tra cui un importante ministro. L’esito dell’inchiesta giornalistica ha provocato la caduta del governo di Joseph Muscat.
POVERI GIORNALISTI! Una volta rappresentavamo il quarto potere dopo quelli legislativo, esecutivo e giudiziario. E oggi? Qualcuno rappresenta se stesso, quando va bene. La professione del giornalista è stata smantellata, depotenziata negli organici e nei contratti. Qualcuno ricorda cosa sono le tutele? Sono (o erano) delle norme a difesa del giornalista, della sua dignità, del suo ruolo, della sua professionalità. Oggi chi sta in redazione non può contare neppure sulla forza e l’autorevolezza del comitato di redazione, sul suo appoggio e il suo sostegno nei casi di contestazione da parte dell’azienda per presunte violazioni contrattuali.
Chi inciampa in qualche imprevisto si può trovare per strada dall’oggi al domani. Nessuno lo difenderà perché ha paura, pur godendo dello scudo sindacale. E poi c’è lo sfruttamento del lavoro, il vergognoso trattamento cui sono sottoposti i collaboratori, privi di contratto, pagati a pezzo, max 10 euro lorde. Niente rimborsi carburante, niente rimborso spese telefoniche, tutto a loro rischio e pericolo. Se becchi, anche senza colpe, una querela mica l’azienda ti mette a disposizione uno dei suoi legali. Cazzi tua.
Ecco dove siamo arrivati scrivendo questo pezzo nella Giornata mondiale dell’Informazione. Abbiamo cominciato esaminando i motivi della perdita di credibilità dell’informazione e siamo finiti a scrivere della dignità calpestata di tanti colleghi, dell’arroganza degli editori, della ruffiania che premia giornalisti incapaci e penalizza fior di professionisti. Perché questa è la realtà. E lo dico con grande amarezza.
Gibi Puggioni