Ep 18/24 Grauso nella morsa tra politica, Procura e sequestro Melis
Era il 1997 quando il direttore del Tg, Bepi Anziani, mi propose l’assunzione a Videolina come capo servizio. Non ci pensai su un attimo. Accettai e mi dimisi dalla Asl n.1. Quello che avrei dovuto fare cinque anni prima quando Grauso mi aveva proposto l’assunzione all’Unione Sarda e una collaborazione con Videolina. Uomo dai molti dubbi, mi feci prendere da troppi pensieri anziché scegliere di fare quello che avevo sempre sognato: il giornalista professionista. Tra l’altro sbagliando due volte perché non ho mai dato una risposta a Grauso che mi aveva offerto un posto di lavoro di prestigio. Seppi più tardi che l’editore ci restò molto male. E aveva pienamente ragione. Tra l’altro per lui era un momento difficile. Con la politica non aveva mai legato, e questo, aggiungo io, era stato un bene perchè aveva consentito a Videolina di mantenere un’assoluta libertà d’informazione. Ma Grauso era sempre più insofferente verso una classe politica mediocre e incapace di governare la Sardegna. Così decise di impegnarsi in politica fondando un nuovo gruppo politico, Il Nuovo Movimento, in vista delle elezioni del consiglio regionale del 1999. In quelle consultazioni risultò il consigliere più votato a Cagliari con 9 mila voti. Ma la sua fu un’esperienza politica molto breve perché venne pesantemente coinvolto nell’inchiesta sul sequestro di Silvia Melis.
Il 1999 segnò la fine di Grauso come editore del gruppo L’Unione Sarda-Videolina. “I motivi, scrissero i giornali, andavano ricercati nella vicenda legata proprio al sequestro di Silvia Melis. L’editore si era proposto come emissario e in parte finanziatore per favorire la liberazione dell’ostaggio. Per lui la campagna elettorale era già cominciata?. Quel gesto, comunque di grande solidarietà, avrebbe dovuto avere anche un ritorno positivo per il suo Nuovo Movimento”. La donna ogliastrina, rapita a Tortolì il 19 febbraio del 1997, venne liberata il 19 novembre dello stesso anno ma molte furono le cose oscure legate alle trattative e al pagamento del sequestro da parte di Grauso che, tra l’altro, era amico di Luigi Lombardini, il magistrato cui erano state affidate la gestione e le indagini di tutti i sequestri commessi in Sardegna.
Un ruolo di grande importanza che aveva provocato malumori e gelosie all’interno della magistratura. Lombardini venne messo sotto accusa e Grauso pagò caro il legame con il giudice. Lo difese schierandosi al suo fianco contro i vertici del Tribunale di Cagliari con dure interviste rilasciate a Tv e giornali nazionali e ovviamente attraverso i mezzi d’informazione di sua proprietà. Cosa accadde di lì a poco l’editore lo spiegò con queste parole: «Le mie aziende furono commissariate pur non avendo un decreto ingiuntivo ed un sequestro. La semplice azione di commissariamento e l’intenzione della magistratura di volermi sottrarre giornale, radio e tv – disse Grauso – furono sufficienti a destabilizzare le aziende e a farmi perdere il fisiologico sostegno da parte del sistema finanziario. Dovetti vendere tutto il gruppo a Sergio Zuncheddu per 120 miliardi».
La vicenda giudiziaria che ne seguì venne spostata a Palermo, sede per la trattazione delle cause relative a vicende che coinvolgono magistrati. Da qui partirono le indagini su Lombardini che interessarono anche altri magistrati e spaccarono le diverse correnti del Csm. Durante un’ispezione al Tribunale di Cagliari, avvenuta l’11 agosto del 1998, Luigi Lombardini venne interrogato dai colleghi giunti da Palermo su tutte le questioni più oscure del sequestro di Silvia Melis, tra cui il ruolo da lui svolto per favorire il rilascio dell’ostaggio. Ad un certo punto dell’interrogatorio i giudici siciliani chiesero a Lombardini di esibire alcuni documenti. Erano le 19.50. Il magistrato chiese un attimo per andare in bagno, si alzò e si diresse verso il suo studio accompagnato da alcuni colleghi tra i quali Antonio Ingroia. Poi, con uno scatto improvviso, il giudice raggiunse il suo ufficio e si chiuse dentro. Un attimo dopo un colpo di pistola rimbombò nel palazzo di giustizia. Il “giudice sceriffo” si era ucciso sparandosi un colpo in bocca. Nel gruppo di magistrati sbarcati a Cagliari c’era anche il procuratore antimafia di Palermo, Giancarlo Caselli.
La vicenda che coinvolgeva Niki Grauso e il giudice Luigi Lombardini si concluderà definitivamente nel luglio del 2010 con l’assoluzione di entrambi. Il tutto, dodici anni dopo il suicidio del magistrato e cinque anni dopo l’uscita del libro di Caselli nel quale l’allora PG di Torino continuò a difendere le sue certezze accusatorie. Carlo Lombardini, fratello del giudice, aveva sfidato Caselli a provare la condotta illecita del fratello Luigi o a chiedere scusa qualora non ci fosse riuscito. “L’assoluzione di Grauso – scrisse Pasquale Motta su processomediatico.it – dà ragione a Carlo Lombardini. Purtroppo a quasi un anno dalla sentenza che ha fatto crollare il castello accusatorio di Caselli, l’ormai ex magistrato non ha ancora chiesto scusa”.
Per completezza di informazione pubblico il pezzo scritto dal Tempo di Roma sull’assoluzione di Lombardini e Grauso: “Crolla, in appello, un altro pezzo del teorema della procura di Palermo sulla vicenda del noto sequestro di Silvia Melis. Vicenda che aveva visto il coinvolgimento dell’imprenditore sardo Niki Grauso e del giudice cagliaritano Luigi Lombardini. Come si ricorderà, l’11 novembre 1997 Silvia Melis veniva trovata nelle campagne di Orgosolo dopo 265 giorni di prigionia.
“Dopo una settimana Grauso, mentre tutti si interrogavano su come la ragazza si fosse liberata, annunciava che la soluzione del sequestro era dovuta al pagamento del riscatto da lui effettuato con la consegna dei soldi ai rapitori. La Procura di Palermo, allora diretta da Caselli, non aveva creduto a tale versione ed aveva ipotizzato che Grauso, insieme al giudice Lombardini, inquirente famoso per i numerosi casi di sequestro risolti ed all’epoca della vicenda Melis del tutto esautorato dalle indagini, avessero costruito una storia di estorsioni ai danni del papà di Silvia Melis e imbastito una calunnia contro i magistrati degli uffici giudiziari di Cagliari. Secondo gli inquirenti, infatti, costoro avrebbero cercato di delegittimare l’operato dei magistrati che dirigevano le indagini, in quanto incapaci di risolvere il sequestro.
“La tesi seguita dalla Procura palermitana – continuava il Tempo – teorizzava che Grauso e Lombardini avessero costretto il padre della sequestrata a recapitare al garante da lui individuato una lettera nella quale veniva rappresentata l’autorizzazione al pagamento del Procuratore Piana. Il giudizio di primo grado si concluse con l’assoluzione di Grauso per il delitto di estorsione riconoscendo che la versione resa dal noto imprenditore circa il suo ruolo nel pagamento del riscatto era vera ma riconobbe fondata l’ipotesi della calunnia ai danni dei magistrati di Cagliari. Il 23 ottobre del 2014 dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, Grauso è stato assolto anche da tale imputazione in quanto la tesi dell’operazione organizzata per calunniare i magistrati che conducevano le indagini è stata ritenuta infondata. Si è così sbriciolato anche l’ultimo tassello di un’inchiesta che ha visto un dispiego di uomini e mezzi impressionante ed un processo durato oltre dieci anni, ma che, purtroppo, è costata la vita del giudice Lombardini”.
Dopo la sentenza assolutoria l’editore di Videolina e dell’Unione Sarda rilasciò un’intervista a La Repubblica che rappresenta uno squarcio di luce tra le ombre nere del Tribunale di Cagliari: “Questa tragica vicenda – disse Grauso – parte dai giochini di potere collegati alle unificazioni della procure. Lombardini era un ostacolo. Destinato ad alti incarichi, ogni qualvolta presentava una candidatura (per fare il procuratore di Palermo o quello di Milano) veniva silurato con l’apertura di procedimenti al Csm che poi finivano regolarmente con l’assoluzione quando ormai era troppo tardi. Per descrivere i rapporti fra Lombardini e i colleghi di Cagliari il gip di allora disse che “erano improntati alla disistima se non al disprezzo reciproco”.
La soddisfazione di Grauso per l’assoluzione da ogni accusa durerà poco. L’editore aveva dimostrato di essere un osso duro nel difendere anche spericolatamente il giudice Lombardini senza alcun timore verso il pool di magistrati palermitani guidati da Giancarlo Caselli. La sentenza assolutoria aveva riaperto vecchie ferite e antiche ruggini tra i magistrati cagliaritani di più alto livello. E Grauso ne fu ancora una volta coinvolto senza colpe.