Egea Haffner: La foto originale della “Bambina con la valigia” donata al museo di Fertilia che porta il suo nome

Egea Haffner: La foto originale della “Bambina con la valigia” donata al museo di Fertilia che porta il suo nome

Indossa un vestito di seta bianco cucito da una sarta e preparato da una zia come si fa quando ci si prepara per una festa. Ha i capelli arricciati, le mani stringono un ombrello e una valigia con su scritto “esule giuliana”, n. 30001. Quella bimba si chiama Egea Haffner. Non ha ancora cinque anni. Con la madre fa parte del gruppo di quasi 30 mila persone prelevate dalle loro case di Pola dalle milizie del maresciallo Tito. Destinazione: lontano dalle città italiane che con la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale erano passate sotto il dominio della Jugoslavia.

Egea e la madre sono destinate a Cagliari. Hanno il cuore gonfio di dolore. Un anno prima, nel maggio del 1945, i soldati tedeschi avevano prelevato dalla loro casa il capo famiglia, Kurt: “Venga con noi al comando, non porti nulla con se, abbiamo bisogno solo di farle alcune domande” furono le loro parole rassicuranti. La famiglia capì che non avrebbe mai più rivisto Kurt quando un giorno la mamma di Egea e la cognata incontrarono in una strada di Pola un gruppo di titini, uomini agli ordini del maresciallo Tito. Uno portava al collo una sciarpa di seta che loro conoscevano bene. Era quella del papà di Egea.

Da quel momento comincia la dura storia di Egea e della sua famiglia: l’addio a Pola, l’inizio di anni durissimi come sono stati quelli di migliaia e migliaia di esuli giuliani e dalmati, l’eccidio di uomini e donne ritenuti fascisti, fucilati e gettati vivi nelle foibe. La foto “La Bambina con la Valigia” viene ritrovata nel cassetto dei ricordi nel 1997 e viene scelta per il manifesto ufficiale della mostra “Istria – i volti dell’esodo 1945 – 1956”.

Tutto questo appartiene al passato ma è ancora vivo nei ricordi di chi quel passato ha vissuto. Lo scorso venerdì 17 giugno Egea Haffner è tornata a Fertilia ad un anno dall’inaugurazione del museo a lei intitolato. Lo ha fatto per donare all’Associazione Egea l’originale della foto “La Bambina con la Valigia” che lo zio, poco prima di lasciare la città, aveva fatto scattare al fotografo di fiducia della famiglia. Fino a qualche giorno fa era custodita nel Museo dell’esodo giuliano-dalmata di Rovereto. Il gesto di Egea è il riconoscimento per il lavoro e l’attività di sensibilizzazione che l’Associazione di Fertilia svolge per “Tenere accesa la luce sulla memoria”.

Egea accanto al mobile in cui è custodita la foto

Da qui ho voluto cominciare questa intervista chiedendo a Egea quanto si sia fatto finora per ricordare la storia dei profughi strappati alla loro patria, alle loro case, privati delle loro identità: “Non molto, lo dico senza voler fare polemica. La scuola ha molte responsabilità nella scarsa conoscenza che i giovani hanno della storia del nostro paese. Per questo ho accettato la proposta di una scrittrice, Gigliola Alvisi, di scrivere a quattro mani un libro sulla storia della mia vita: “La Bambina con la Valigia, il mio viaggio tra i ricordi di esule ai tempi delle foibe”, Piemme editore. E’ rivolto ai ragazzi per renderli partecipi, senza ideologismi, di una storia di cui fino a qualche anno fa non si parlava: la firma del Trattato di Parigi che cambiò i confini del nord-est dell‘Italia e provocò l’esodo di quelle popolazioni”.

Riuscirà a farlo distribuire nelle scuole?

Spero proprio di sì. C’è un progetto di cui sto discutendo con le autorità scolastiche e la Regione per cercare di farlo adottare come libro di testo nelle scuole medie. Nel frattempo sia io che Gigliola Alvisi continuiamo ad andare nelle scuole, accogliendo con piacere l’invito dei dirigenti scolastici a raccontare ai ragazzi la mia storia e quella di migliaia di altri esuli.

A Fertilia ho conosciuto, e siamo diventate grandi amiche, Marisa Brugna, esule istriana, nativa di Orsera, un’insegnante giunta a Fertilia nel 1959, a poco più di sedici anni. Anche lei ha scritto un libro, “Memoria Negata” (2003), che è stato definito “una delle più poetiche e struggenti testimonianze sul dramma dell’esodo e la successiva vita nei campi profughi”. L’impegno di Marisa Brugna nella divulgazione della storia dell’esodo giuliano-dalmata nelle scuole sarde è molto apprezzato. Oltre 2.500 persone hanno inviato una petizione al presidente Mattarella per chiedere la concessione di una onorificenza a favore di Marisa per il suo impegno sociale nella difesa della memoria degli esuli e soprattutto di quanti sono stati “infoibati”, cioè uccisi o gettati vivi nelle foibe, caverne e pozzi tipici delle zone carsiche. Il loro numero non è mai stato accertato ma gli eccidi sono stati molti, troppi.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha provocato un conflitto durissimo, con migliaia e migliaia di morti e gravissimi danni alle infrastrutture delle città. Putin ha definito il suo intervento “un processo di “denazificazione” dell’Ucraina”. Le ricorda qualcosa che ha vissuto?

Per Tito tutti gli italiani delle terre giuliane erano fascisti. Ma non era affatto così. Mio padre non era fascista. Io non sono di destra e nemmeno di sinistra. Ho rifiutato la cittadinanza onoraria di una città che voleva darla a Liliana Segre e, per par condicio, anche a me. Sono storie diverse – ha scritto Egea nel suo libro – situazioni diverse. Anche se i morti sono tutti uguali. Mi sembrava che la signora Segre, certo non per sua volontà, venisse indicata come un simbolo della sinistra e io della destra. E questo non potevo accettarlo.

Altri ritengono che l’invasione dell’Ucraina sia esclusivamente un progetto di espansione dei territori russi voluto da Putin

Non saprei, non ho elementi di valutazione. come peraltro tante altre persone che pure guidano nazioni europee. Quello che bisogna valutare sono gli effetti terribili che il conflitto sta provocando e fare tutti gli sforzi per riportare la pace.

Alcuni milioni di esuli hanno lasciato l’Ucrania. Molti sono ospitati in Italia. Che reazioni le provoca rivedere ancora immagini di guerra?

Un’enorme tristezza, tanta rabbia. Vedere la gente, centinaia, migliaia di persone, costrette a fuggire dalle proprie case, lasciare i propri cari per salvare i bambini, vivere nei rifugi sotterranei per mesi, senza alcuna certezza del futuro, mi riporta a incubi che ho sempre cercato di scacciare. E’ un’esperienza che ho vissuto tanti anni fa. Anch’io sono scesa in quegli scantinati, tremando, con il cuore impazzito, stringendo tra le braccia la mia bambola preferita. Spero che la guerra non duri a lungo. Quello che conta è la vita non la morte. Ricordiamolo tutti.

Gibi Puggioni

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