Stefano Congiu, cardiochirurgo: “il mio sogno più bello? Donare una nuova vita a tanti bambini”
Il Dottor Stefano Congiu, 48 anni di Cagliari, cardiochirurgo pediatrico, non è tra quelli che usano la classica frase “nessuno è profeta in patria”. Chi crede in questa professione deve cercare di crescere, specializzarsi, migliorare costantemente, a costo di lasciare la Sardegna.
La sua carriera conferma la sua filosofia di vita. Laurea all’ Università di Cagliari nel 1998, Specializzazione in Cardiochirurgia nelle Università di Parma e Barcellona anni 2000-2005. Nella città catalana ottiene due borse di studio in Cardiochirurgia Pediatrica e Chirurgia Cardiovascolare e poco dopo assume l’incarico di Dirigente Medico specialista in Cardiochirurgia pediatrica all’ Hospital Sant Joan de Deu di Barcellona.
Nel 2008 nella sua vita avviene una svolta professionalmente importante che lo porta a conoscere profondamente la sanità inglese: il trasferimento al General Infirmary Hospital di Leeds come responsabile del Servizio di Cardiochirurgia Congenita. Contestualmente diventa professore associato della facoltà di Medicina della locale Università, incarichi che ricopre fino al 2018.
Perché questa scelta, Dottor Congiu, e cosa le ha dato sul piano professionale?
La voglia di mettersi alla prova in uno dei sistemi sanitari pubblici tra i più prestigiosi del mondo. Una lunga esperienza di dieci anni che mi ha fatto conoscere profondamente un modello di organizzazione anglosassone efficiente e soprattutto meritocratico.
Nel 2018 Congiu ritorna a Barcellona come Specialista Senior e poi come Responsabile del servizio in Cardiochirurgia Pediatrica al Sant Joan de Deu di Barcellona. Una struttura d’eccellenza cui si rivolgono piccoli pazienti, con gravi patologie cardiache, provenienti da tutta Europa. Finora ha eseguito più di 3 mila interventi, scritto diverse pubblicazioni e libri specialistici. Lo scorso maggio il team del Dottor Congiu ha organizzato una missione di una settimana a Kathmandu per operare 14 bambini nepalesi con gravi patologie cardiache congenite.
Le chiedo come concilia un lavoro enorme e delicatissimo con il suo privato, la sua famiglia e i suoi hobbies? Cosa la rilassa maggiormente?
Anche se nell’immaginario collettivo il chirurgo è visto come l’unico artefice bisogna ricordarsi che il nostro è un lavoro di equipe dove i collaboratori ricoprono un ruolo fondamentale per il successo e la buona riuscita degli interventi chirurgici. Sicuramente è un lavoro delicato che deve essere affrontato con massima concentrazione e serenità. Avere dei collaboratori capaci dei quali ci si può fidare permette di delegare e distribuire i compiti dando la possibilità a tutti di conciliare il lavoro con il tempo libero e la famiglia.
Sono appassionato di vela e mare. Navigando in mezzo al mare posso scollegare il telefono per poche ore e rilassarmi completamente.
“Give a child new life” (Donare una nuova vita a un bambino) è il motto dell’Associazione benefica Healing Little Hearts Uk con sede a Leicester con cui il Dottor Congiu collabora. L’Associazione fornisce chirurgia cardiaca gratuita a neonati e bambini nelle aree in via di sviluppo del mondo. Una missione encomiabile.
Nel 2016 il mio anestesista inglese mi propose di organizzare un missione umanitaria in Maharashtra, nel centro più povero dell’India, che portammo avanti con Healing Little Hearts. Riunì un gruppo di professionisti di altissimo livello e nonostante la logistica precaria riuscimmo nei pochi giorni a disposizione a operare 15 piccoli pazienti di età compresa tra i 0 e 6 anni. Il successo della missione fu tale che ci spinse ad organizzare successive missioni nelle varie parti del mondo.
“A Khartum come a Barcellona”: è il titolo di un paragrafo dell’ultimo libro scritto da Gino Strada, “Una persona alla volta”. Il significato in sostanza è che, se si vuole, si possono realizzare strutture eccellenti, come l’Ospedale di Barcellona dove lei lavora, anche in luoghi poveri e sperduti come Khartum. E’ d’accordo?
Sono d’accordo con Gino Strada nel ritenere possibile la costruzione di strutture d’eccellenza in luoghi poveri e disagiati ma, nella mia specializzazione, la reale differenza nella qualità dell’ assistenza sanitaria non risiede soltanto nel dotarsi di strumentazioni e apparecchiature tecnologicamente avanzate ma negli operatori. Per questo motivo le nostre missioni si prefiggono anche l’obiettivo di formare chirurghi, anestesisti, intensivisti, e personale infermieristico locale capace nel tempo di trattare casi complessi in autonomia.
A Kathmandu, nell’unico ospedale pediatrico del Paese che pratica cardiochirurgia, vengono operati circa 800 bambini l’anno. La mortalità per patologia cardiache è altissima in Nepal, tra il 20-30% ( in Europa il dato è dell’1%). Riuscire a ridurre questo gap sarebbe un risultato fantastico.
La missione eseguita nel maggio scorso a Kathmandu è stata una missione di aiuto al team locale per insegnare loro nuove tecniche chirurgiche. L’ospedale è sufficientemente equipaggiato. I medici e gli infermieri locali si dedicano al 100% al loro lavoro però scontano l’inesperienza e una formazione acquisita prevalentemente sul campo.
Strada ha parlato in termini entusiastici del personale locale che lavora negli ospedali sorti in zone che soffrono per le gravi carenze sanitarie in cui versano nonostante gli sforzi enormi delle Ong. Voi lavorate anche sulla formazione dei medici e del personale infermieristico? Ho letto una bella storia di un medico, Siddharta, che pur avendo ricevuto offerte per lavorare adeguatamente retribuito in ospedali della Cina e della Corea avrebbe rifiutato dicendo “A Katmandu c’è bisogno di me”. Lo ha conosciuto?
Siddartha è il chirurgo responsabile a Kathmandu. E’ stato un piacere lavorare insieme a lui. Operando con questo giovane e talentuoso chirurgo gli ho domandato se avesse mai pensato di andare a lavorare in paesi più ricchi come Cina, Corea del Sud o Thailandia dove i medici vengono remunerati ben più del Nepal in cui lo stipendio medio di un professionista è di circa 500 dollari. Lui mi ha risposto dicendomi che lavorava per il Nepal, il suo paese, e per migliorare le condizioni delle nuove generazioni.
Al che gli ho detto: “Siete un popolo fiero e orgoglioso”
Lui ha sorriso e mi ha risposto “ Proprio come voi italiani. La vostra storia lo insegna”