Lelle Rubino: “Con l’aiuto della scienza ho sconfitto il Covid”

Lelle Rubino: “Con l’aiuto della scienza ho sconfitto il Covid”

Lelle Rubino

All’inferno e ritorno. A Lelle Rubino, ex commerciante sassarese di 73 anni, il rapporto con il Covid è finito bene: “Avevo anche il biglietto per il ritorno evidentemente”. Scherza. “Ma è stata dura. Ho temuto di non farcela. Nella stanza accanto è morto un mio caro amico. Avrebbe compiuto 75 anni a giorni. Era stato un ottimo giocatore della Torres”.

Come è iniziata la sua storia?
Era il 16 di gennaio. Avevo incontrato un amico e deciso di prendere un caffè in un bar del centro. Due giorni dopo lui fa il tampone e mi avvisa di essere positivo.

Quindi lei non si era vaccinato.
Aspettavo di farlo ma avevo venduto da poco la mia attività commerciale e c’erano diversi adempimenti burocratici ed economici da definire con banche e assicurazioni e soprattutto i miei familiari, i due figli e mia moglie.

A quel punto cosa fa?
Prendo appuntamento con il Centro salute di Platamona per fare l’indomani il tampone anti Covid. Dopo venti minuti la sentenza: sono positivo al Covid, mia moglie fortunatamente no. Non ho sintomi ma mi chiudo in casa per precauzione.

Nei giorni successivi come si sente?
Nessun sintomo, nessun colpo di tosse, solo qualche linea di febbre. Miei figli mi fanno avere un saturimetro per misurare la quantità di ossigeno nel sangue. I valori sono troppo bassi e a scendere: 90, 87, 84. Sempre più giù. Sabato 23 gennaio decido di farmi vedere in ospedale. Un’ambulanza mi accompagna al Pronto Soccorso. Vengo sottoposto ad una Tac. Purtroppo ho una polmonite. Immediato il ricovero nel reparto Covid di Malattie Infettive. Ho il cuore a mille. Ho paura di non tornare più a casa, di non vedere più i miei cari, i miei adorati nipoti.
La sera mi mettono il casco per respirare meglio, è il segnale che sono un paziente grave.

É solo in camera?
Lo sono stato solo il sabato. Il giorno dopo hanno ricoverato un altro paziente. Si lamentava, era cosciente ma le sue condizioni precipitarono rapidamente. Il giorno dopo è morto. Per il mio morale è un colpo durissimo anche se tutta la meravigliosa equipe che mi ha in cura cerca di tirarmi su e di migliorare il mio stato con una terapia d’urto: medicine, flebo costantemente in vena, continui prelievi di sangue. Avere il casco condizionava pesantemente la mia posizione a letto. Dovevo stare sempre supino, senza potermi muovere. Nel casco c’era una specie di finestrella attraverso cui mi davano da bere.

Hai chiesto ai tuoi amici, con un post su Fb, di pregare per te. L’ho ricevuto anche io. Ha dato risultati mi pare.
Eccome. E’ cominciata immediatamente una pioggia di messaggi degli amici che ho in ogni angolo della Sardegna. Parole di incoraggiamento efficaci come medicine. Il mio morale ne aveva bisogno. Tutta questa solidarietà mi commuove fino alle lacrime. Il personale lo capisce dal casco appannato. Alcuni si avvicinano e mi rimproverano amorevolmente per tirarmi su. L’iPhone è stato un grande amico per me visto che potevo comunicare solo con messaggi. Mi sono arrivate foto di amici che non vedevo da anni, soprattutto del mondo del calcio che ho sempre frequentato visto che per decenni sono stato arbitro e guardalinee in diverse categorie.

Rapporti con i familiari?
Vietati. Mio figlio era autorizzato a portarmi il cambio della biancheria ma doveva lasciarla fuori dal reparto. Ero isolato completamente. Uno dei pochi momenti belli è stato quando ho ricevuto le foto di mia moglie Teresa, dei miei figli Pietro e Gianni e dei miei nipotini. Non mi hanno lasciato solo un momento. Mi sono detto che dovevo farmi forza. Non potevo morire. Miglioravo piano piano. Me ne accorgevo perché il respiro diventava meno affannoso. Dopo qualche giorno i medici mi tolgono il casco e mi mettono la maschera che mi consente di assumere alimenti solidi. Il 5 febbraio mi tolgono anche la maschera. Tre giorni dopo, l’8 febbraio, risulto negativo al virus. Il 16 febbraio vengo dimesso accompagnato dall’affettuoso applauso del personale medico e infermieristico. Il Covid è finalmente sconfitto.

Una delle cose che ricorderà per sempre?
L’affetto e le attenzioni del personale, tutto. Io non potevo riconoscere nessuno per come erano bardati, ma prima di andar via li ho voluti vedere in volto uno per uno e ringraziarli per il loro lavoro. Ho scoperto che nella squadra c’era anche padre Paolo, cappellano dell’ospedale, un giovane medico figlio di dottor Napodano, un ginecologo che conosco da una vita. Con alcuni di loro ci siamo scambiati l’amicizia su facebook. Certi valori, come l’amicizia e la solidarietà, vanno tenuti vivi.

La vedo in linea.
Ero obeso. Ora ho perso quindici chili così sono migliorati i valori della glicemia e del diabete.

Cosa l’ha reso più felice dopo l’uscita dall’ospedale?
L’aver ricevuto dalla società “50 e più”, sindacato della Confcommercio, “l’Aquila d’oro”, un riconoscimento destinato ai “Maestri del lavoro”, nel mio caso per i 50 anni di attività commerciale.

Vuol dire qualcosa a chi rifiuta il vaccino?
Non fate questo errore. Fino a quando non disponevamo di un vaccino il Covid ha fatto stragi in tutte le parti del mondo. Oggi in Italia siamo vicini all’immunità di gregge. Contribuite a farci raggiungere il traguardo finale.

Gibi Puggioni

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