Pinotto Dettori: “Una sala operatoria, con tutto il cuore”
Il chirurgo Pinotto Dettori si racconta: “La professionalità di un medico è nulla se disgiunta dall’umanità di cui ogni paziente ha bisogno”
Sono certo di non essere in ritardo nel raccontare in questa intervista la vita di un grande chirurgo generale, il prof. Giuseppe Dettori, meglio conosciuto come Pinotto.
Mi aiuto con alcuni numeri. Nato a Sassari l’8 marzo del 1942, si è laureato il 3 marzo 1967 discutendo brillantemente una tesi sulla “Chirurgia della via biliare e della papilla di Vater” col clinico chirurgo di allora, Luciano Lorenzini, destinato a diventare il suo primo Maestro.
La chirurgia generale è materia di grandissima difficoltà. Chi sceglie questa specializzazione sa di dover arrivare a conoscere alla perfezione gran parte degli organi del corpo umano. Dettori ha avuto la fortuna, durante il suo processo di maturazione, di entrare a far parte della prestigiosa Scuola chirurgica di Edmondo Malan, allievo del grande Dogliotti, e di crescere al fianco di due grandi chirurghi di tale Scuola, Giorgio Tiberio e soprattutto Paolo Biglioli, cui deve il raggiungimento dell’apice della carriera universitaria e la definitiva maturazione chirurgica.
Insieme a Biglioli e sotto la sua guida ha potuto affinare la propria esperienza chirurgica in diversi campi, spaziando tra chirurgia generale, urologia, chirurgia pediatrica, chirurgia d’urgenza, quella esofagea, pancreatica, epatobiliare ed endocrina, ma anche e soprattutto nel campo, allora nuovo per la nostra Isola, della chirurgia vascolare.
Nel 1974, ad appena 32 anni, Dettori diventa aiuto della patologia chirurgica al fianco del prof. Giorgio Tiberio. In seguito, subentrato a Tiberio il prof. Paolo Biglioli, diviene con lui aiuto della clinica chirurgica e continua a maturare titoli ed esperienze sinché, dal 1984 al 1986 viene inviato da Biglioli a dirigere la Patologia speciale chirurgica dell’Università. Infine, nell’anno accademico 1986/87, viene nominato dalla Facoltà e dall’Ateneo, su proposta di Biglioli, suo erede alla direzione della Clinica chirurgica generale dell’Ateneo sassarese, incarico che ha mantenuto ininterrottamente per 26 anni, fino al suo collocamento in pensione avvenuto il 31 ottobre 2012.
Alcuni dei suoi Maestri lo avrebbero voluto al loro fianco nella penisola, ma Dettori non ha mai ceduto alle lusinghe, legatissimo com’era alla sua Sardegna ed alla sua famiglia, ai suoi innumerevoli amici ed ai suoi hobby ancor oggi irrinunciabili, la caccia e la pesca.
È stato un lavoratore instancabile come potrebbe testimoniare la sua famiglia e come documentano i numeri agli atti: 34.500 interventi, gran parte dei quali di alta ed altissima chirurgia, e 450 pubblicazioni scientifiche.
Quando ci siamo incontrati in via Roma, nella Libreria Koinè, per questa intervista gli ho detto scherzosamente:
Professore, credo di sapere cosa ha fatto il 30 ottobre del 2012, il giorno prima del pensionamento
Ah sì? Mi incuriosisce
Era in sala operatoria per l’intera giornata.
Esatto, dalle 8 del mattino alle 20 di sera. Grazie alla disponibilità degli anestesisti, dei miei collaboratori e di tutto il personale di sala operatoria ho potuto fare ben 9 tiroidectomie totali su altrettante pazienti tireostatiche alle quali avevo formalmente promesso di operarle personalmente prima del mio congedo. Sono cose che si fanno volentieri solo se si ama la professione e si rispettano i pazienti.
Lo scorso anno Pinotto Dettori ha deciso di raccontare la sua vita straordinaria spronato e guidato da un caro ed illustre amico scrittore, già prefetto di Sassari, Salvatore Gullotta Di Mauro. Il libro, edito da Carlo Delfino, è intitolato “Caro professore, le ho portato un uovo”. Il sommarietto è sintesi di un tema che al professor Dettori è sempre stato caro: “Chirurghi e chirurgia col cuore nella Sassari degli anni dal 1967 al 2012”.
“Chirurgia col cuore” è una bella frase
Piace anche a me, ma è l’amico Gullotta che l’ha coniata. Indica quella sensibilità e vicinanza ai pazienti che un chirurgo, ma direi un medico in generale, dovrebbe avere nel suo DNA. La professionalità di un chirurgo è nulla se disgiunta dall’umanità di cui ogni paziente ha bisogno. Ed oggi non è una condizione molto diffusa. Le lamentele che provengono dai familiari e pazienti ricoverati nelle strutture ospedaliere denunciano sempre più spesso una condizione di inaccettabile distacco, disinteresse e talvolta arroganza da parte del personale.
Come giudica lo stato della sanità sassarese?
La qualità dei suoi servizi, dell’organizzazione del lavoro e del personale è via via scaduta col trascorrere degli anni. Di chi la colpa? Di una politica che per ridurre i costi ha tagliato servizi essenziali e posti letto. E di chi ha dimostrato una totale impreparazione nella gestione della politica del territorio e di quella ospedaliera. La pandemia ha fatto il resto, facendo emergere tragicamente tutte queste carenze.
Per quanto mi riguarda credo a fronte alta di potermi ritenere totalmente appagato. Ho infatti potuto realizzare, prima della fine del mio mandato e con l’aiuto dell’Ateneo e dell’allora Rettore Attilio Mastino, un bellissimo reparto di degenza finalizzato al massimo comfort dei pazienti, del personale medico-infermieristico e degli studenti, con 40 posti-letto ordinari e 5 di day surgery, affidato ad una équipe medico-infermieristica di grande professionalità. Sono orgoglioso di aver lasciato al mio posto i due migliori allievi cresciuti interamente al mio fianco per tutta la loro vita professionale. L’uno, di pochi mesi più anziano, Pietro Niolu, da subito orientato verso una carriera di tipo ospedaliero, grazie alle sue capacità tecniche ed ai suoi titoli è primario del SS. Annunziata; l’altro, Alberto Porcu, più portato ad una carriera universitaria, ne ha percorso brillantemente e sempre al mio fianco le varie tappe, sino a raggiungere l’apice, divenendo il mio erede alla direzione della Clinica chirurgica dell’Ateneo sassarese. Credo di poter affermare, con motivato orgoglio, che entrambi sono chirurghi di elevatissima levatura tecnica e morale, vere punte di diamante della chirurgia sarda.
Un paragrafo del suo libro, “Fra politica e sanità”, mi ha incuriosito. È una chiamata di correità?
È una considerazione dovuta. La politica non dovrebbe mai immischiarsi troppo nella sanità, altrimenti, come da molti anni ormai avviene, medici ed infermieri degli ospedali, e più di recente delle cliniche universitarie, anche a livello dei primari, verranno sempre più spesso nominati non per la loro specifica preparazione, i titoli e le esperienze accumulate, bensì in base a interessi politico-elettorali, a fronte di una preparazione professionale insufficiente.
Pensare a questo mentre il chirurgo sta aprendo il torace di un paziente è traumatico
Non si deve generalizzare. I chirurghi e i medici di razza ci sono ancora e ci saranno sempre, basta saperli cercare. Tuttavia è innegabile che la preparazione dei medici non è più quella di una volta. A Sassari, così come in altre sedi universitarie medio piccole, era frequente affidare la direzione di reparti chirurgici (e non) a direttori provenienti da grosse sedi e da importanti Scuole. Loro hanno importato a Sassari esperienze e conoscenze di cui hanno beneficiato professionalmente i chirurghi locali. Quando poi questi direttori tornavano nella penisola, portavano spesso con sé giovani medici destinati a lavorare al loro fianco. Oggi la scelta della professione di chirurgo non è tra le più gettonate. Anche perché, va detto, c’è forte il timore nei giovani di incappare in errori veri, o più spesso presunti, e di finire al centro di una inchiesta giudiziaria che li screditerebbe anche per anni, visti i tempi del nostro sistema giudiziario.
Qual è la sua posizione?
Non condivido la medicina difensiva né tanto meno l’atteggiamento sempre più duro dei giudici nei confronti dei medici, ed in particolare dei chirurghi. In Italia sono state aperte migliaia di inchieste a carico specialmente di chirurghi accusati di aver commesso errori in sala operatoria ai danni dei pazienti loro affidati. Ma le statistiche attestano che il 95% delle cause si sono rivelate insussistenti e si sono concluse senza condanne. Assoluzioni amare, insufficienti a cancellare gli effetti della maldicenza e del pettegolezzo che hanno ingiustamente perseguitato professionisti innocenti, spesso rovinando le loro carriere.
Questo clima ritiene incida negativamente sull’attività del chirurgo?
Certamente. Incide sulla sua serenità, sulla qualità e sulla stessa tempestività delle prestazioni chirurgiche, che vengono oggi sistematicamente erogate anche in casi di gravi urgenze, se non addirittura di emergenze, con ore o anche giorni di ritardo, quanti sono necessari per eseguire tutta una serie di esami di laboratorio e strumentali spesso eccessivi, ripetitivi o addirittura inutili. Tali comunque, paradossalmente, da tutelare l’operatore dalle frequentissime accuse di aver perso un malato per non aver eseguito tutta una serie interminabile di esami diagnostici, quasi sempre al momento non necessari.
Una sorta di autodifesa?
È così! Prendiamo il caso di un intervento che si conclude in modo infausto. Fa seguito sistematicamente una inchiesta con minuzioso accertamento degli esami cui il paziente deceduto era stato sottoposto, usando come elemento di grave colpevolezza la mancata esecuzione di uno o più di questi accertamenti. Insomma, meglio essere coperti a costo di effettuare una batteria di esami inutili e spesso lesivi della salute stessa del paziente in virtù dei tempi di esecuzione eccessivamente lunghi.
Una curiosità, il titolo del suo libro “Caro professore le ho portato un uovo”. Ci fa capire?
Volentieri. Era il mio ultimo giorno di lavoro e avevo appena concluso una lunghissima e impegnativa seduta operatoria. Mi rilassavo sulla poltrona dello studio quando il segretario mi avvertì che un’anziana signora avrebbe voluto parlarmi (“credo l’abbia operata qualche mese fa” mi disse). La feci entrare. Era un viso conosciuto. Mi abbracciò e mi disse: “Professore, so che senza di lei sarei finita male. Le sono infinitamente grata. Sa, io non possiedo nulla. Ho solo una gallina che vive da anni con me in campagna e che fa uova meravigliose, ma non più di una al giorno. Gliene ho portato uno, professore, lo assaggi e vedrà che uova così buone non se ne trovano facilmente”.
Quella donna e quell’uovo resteranno per sempre il simbolo dell’aspetto affettivo ed umano con cui ho esercitato la mia professione di “chirurgo col cuore”, raccogliendone in cambio, a piene mani, ciò che maggiormente desideravo: la stima e l’affetto dei miei pazienti.
5 Replies to “Pinotto Dettori: “Una sala operatoria, con tutto il cuore””
Si dice che quella del medico sia una missione. Non è sempre così purtroppo ma la figura di Pinotto Dettori è tra quelle che ci spingono a crederlo. Di questi tempi non è poco.
Gran bella intervista e materiale a disposizione straordinario: Pinotto Dettori è figura d’altri tempi, professionista eccellente e esempio reale di come deve essere un medico
Ho letto con grande commozione quanto l’amico Renato Ticca mi ha inoltrato e sono tornata indietro nel tempo rivivendo cinquanta anni trascorsi a fianco di mio marito medico che ha vissuto la sua professione come una missione.
Le parole del professor Dettori sono le stesse che mi sentivo ripetere ogni volta dopo un intervento….
Noi siamo partiti da Sassari per Ferrara al seguito del prof Tortora .
E ora che mio marito non c’è più spesso rifletto e rimpiango quegli anni.
Caro professore, l’umanità purtroppo non esiste più e quello del medico è diventato un mestiere : lo constato ogni giorno con grande tristezza.
Le auguro di potersi godere a lungo una meritata pensione in quel mare stupendo di Cala Gonone che rimpiango e sogno…
Acquisterò subito il suo libro : anche mio marito quando eravamo a Sassari riceveva le uova fresche dalle sue pazienti…
Non dimenticherò mai quando,fuori dalla sala operatoria, mentre aspettavo che il mio bambino venisse operato, arrivò il professor Pinotto e mi disse- stai serena, vedrai che andrà tutto bene, alla fine dell’intervento, arrivò da me un medico che mi disse…mi ha mandato il professore, l’intervento è andato bene, Sandro sta bene e fra poco potrà vederlo…Una gioia immensa, che solo le “grandi”persone come il professor Dettori sanno dare.
Dopo aver letto l’intervista leggero’,sicuramente, anche il libro.