Lirio Abbate: l’ombra di un ex agente sui delitti di mafia e i servizi deviati. Giovanni Aiello ha portato nella tomba la verità su tante tragiche vicende
Lirio Abbate, vice direttore dell’Espresso, è il giornalista cui si devono importanti inchieste sulle organizzazioni criminali, mafia in particolare, per le quali “Reporters sans frontières” lo ha inserito fra i “100 eroi dell’informazione” nel mondo. Lunedì 13 dicembre è tornato a Sassari dove nel 2016 aveva ricevuto il Premio giornalistico “Sassari Sera” dedicato al direttore del periodico Pino Careddu. Questa volta non doveva ricevere premi ma soddisfare due esigenze: visitare il carcere di Bancali (“la più moderna ed efficiente struttura in Italia dove il 41 bis è applicato secondo le norme di legge”) e incontrare i detenuti. Per parlare dei loro problemi, delle loro condizioni di detenzione, di quello che lo Stato dovrebbe fare per migliorarle.
“E su quest’ultimo punto hanno pienamente ragione. Loro vivono molto peggio dei detenuti che stanno al 41 bis. I primi – ricorda Abbate – sono costretti a condividere gli esigui spazi delle celle con altri detenuti mentre i mafiosi o gli uomini della ‘ndrangheta dispongono di celle individuali, hanno spazi adeguati, servizi igienici efficienti e ogni loro esigenza trova immediata risposta da parte del personale, compreso quello medico e sanitario”.
Nel pomeriggio Lirio Abbate ha raggiunto, con la scorta che da anni lo accompagna a seguito delle minacce che ha ricevuto, la libreria Koinè, in via Roma. Un’ora a disposizione del pubblico per raccontare il suo nuovo libro prima di raggiungere l’aeroporto di Alghero. “Faccia da mostro”, dedicato come i precedenti a episodi di mafia, ‘ndrangheta e così via, ma in particolare ad un personaggio misterioso, inquietante, membro dell’organizzazione Gladio, vicino ad ambienti dei servizi e dell’eversione nera, legato a boss mafiosi.
Un pentito ha detto di lui:“E’ un killer della mafia”. Definizione contenuta negli atti giudiziari ma mai provata.
Eh sì, perché la sua identità è rimasta sconosciuta fino al 2000 quando un collaboratore di giustizia l’ha rivelata al magistrato. Per trent’anni è stato soltanto “faccia da mostro”. Di lui si sa che era nato a Montauro, in Calabria e aveva prestato servizio in polizia fino a quando, negli anni sessanta, era stato colpito da una fucilata al volto che gli aveva devastato il volto. L’episodio si era verificato in Sardegna ma se ne ignora il contesto. Potrebbe essere stato colpito durante un’operazione per la cattura di qualche latitante visto che quel periodo coincide con la massiccia caccia ai banditi scatenata dalla Criminalpol sui monti di Barbagia.
Nel 1970 va in pensione e se ne perdono le tracce fino agli anni delle stragi a Palermo, ’92-’93, in cui caddero Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte”.
“Stragi di Stato”, disse chi era, ed è ancora convinto, che la mafia fu esecutrice di un disegno tracciato da ambienti dell’alta politica. Le scene di guerra che girarono per tutte le televisioni del mondo furono accompagnate anche da sospetti sui quali nessuno ha indagato con l’impegno necessario. In via D’Amelio qualcuno vide una persona portare via la borsa del giudice Borsellino che conteneva la preziosa agenda rossa dove il magistrato annotava pensieri, circostanze, nomi che avevano suscitato il suo interesse. L’agenda non è mai stata ritrovata.
Ma fra le macerie qualcuno notò un uomo in borghese, vestito in modo dimesso e con il volto deturpato. Era “faccia da mostro?”
E’ solo un indizio. Come lo è quello della sua partecipazione, in qualità di esperto di esplosivi, al fallito attentato alla villa dell’Addaura in cui Falcone aveva ospiti alcuni colleghi stranieri tra i quali Carla Del Ponte, procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia. Di questa sua presenza si trova traccia negli atti giudiziari.
L’ordigno, 58 candelotti di dinamite, collocati in una borsa nascosta tra gli scogli, venne fortunatamente individuata dagli uomini della scorta.
L’ombra di “faccia da mostro” compare nelle indagini sul fallito attentato a Falcone. E’ ancora il collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice a riferire al magistrato che lo interroga che un testimone, una donna, avrebbe visto due uomini aggirarsi tra gli scogli. “Uno aveva il volto deturpato” ha detto Lo Giudice.
Altre accuse su fatti specifici attribuibili a Giovanni Aiello?
Si, sono riferibili ad alcune deposizioni che a partire dai primi anni Duemila inquadrano “faccia da mostro”. Riguardano l’omicidio di un bambino di undici anni, Claudio Domino, l’omicidio del vice questore Ninni Cassarà e quello del poliziotto Nino Agostino, ucciso a colpi di pistola insieme alla moglie. Secondo i pentiti – rivela Abbate – anche nelle stragi di Capaci e via D’Amelio Giovanni Aiello avrebbe avuto un ruolo. Le rivelazioni contenute nel mio libro hanno già portato ad alcuni importanti risultati: la riapertura delle inchieste sull’omicidio del bambino Claudio Domino e su quello dell’agente della Mobile di Palermo, Nino Agostino.
L’identità del poliziotto, che qualcuno ritiene colluso con i servizi, molto legato al questore Contrada (assolto di recente dalle accuse dopo una lunga detenzione) consente ai magistrati e agli inquirenti di ricostruire in parte il suo misterioso passato?
Soltanto se si riuscisse ad accertare come sia stato possibile per un pensionato della polizia acquistare appartamenti non solo a Montauro ma in altre quattro città, alcune delle quali nel nord, mantenere due figli all’Università, uno dei quali, la femmina, negli Stati Uniti dove si è poi stabilita. Ma il fatto più clamoroso è l’accertamento da parte della Guardia di Finanza della disponibilità in un conto bancario intestato ad Aiello di un miliardo di vecchie lire in titoli. Proprio di recente questa vicenda è stata ripresa da una trasmissione Tv. Un giornalista ha raggiunto l’abitazione della moglie e ha dialogato dalla strada con lei che si era affacciata alla terrazza di casa. Al giornalista che le chiedeva come avesse fatto suo marito a mettere insieme una cifra così elevata potendo contare solo sulla pensione ha risposto: “I soldi sono i miei”.
Giovanni Aiello è stato riconosciuto come il presunto poliziotto che si era presentato a casa Agostino cercando Nino.
Lo ha riconosciuto in un confronto all’americana il padre della vittima. Vincenzo Agostino non ha avuto dubbi: “E’ lui faccia da mostro”. Per Giovanni Aiello è stato un duro colpo. Nel 2017 un infarto lo uccide in Calabria su una spiaggia, che frequentava assiduamente e dove aveva una casupola, dopo aver tirato a secco una barca.
Con la sua morte la storia di Giovanni Aiello va dunque in archivio.
E’ così. Posso aggiungere un’amara considerazione? Aiello è morto da innocente.
Gibi Puggioni