Mauro Manca: “Fertilia è stata nel dopoguerra terra di integrazione e fratellanza per gli esuli giuliano-dalmati. Il Museo Egea è una luce accesa sulla memoria. La storia non si cancella”
Nella grande piazza che affaccia sul mare di Fertilia c’è una stele su cui è scritto: “Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraternamente gli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia”. Era il mese di febbraio. Due furono gli sbarchi per un totale di 67 persone. Nei mesi e negli anni seguenti furono circa 4.000 gli esuli che giunsero a Fertilia molti dei quali poi ripartirono per altri luoghi, 1500 si fermarono invece nella borgata. Erano tutti esuli scampati all’orrore delle persecuzioni anti-italiane e dai massacri nelle foibe compiuti dalle milizie comuniste di Tito. Ancora oggi a Fertilia vivono alcuni dei protagonisti di quell’esodo o i loro discendenti. Dal giugno scorso la storia del loro esodo viene raccontata con documenti, filmati e oggetti nell’ecomuseo Egea, realizzato dalla cooperativa Solomare nelle ex Officine Egas vicinissime allo stagno del Calich. E’ dedicato a Egea Haffner, una bimba ritratta in una foto del 1946 mentre lasciava Pola trascinando una valigia, destinazione Cagliari. La foto fece il giro del mondo e Egea diventò per tutti “La bambina con la valigia”. Ottantenne, vive oggi a Rovereto. Ha rivisto Fertilia il 1° febbraio dello scorso anno in occasione della posa della prima pietra del Museo a lei dedicato.
Mauro Manca, della cooperativa Solomare, è il direttore organizzativo della struttura e l’autore del libro Rotta 230° che racconta la storia di Fertilia dell’esodo dal Friuli e dal Veneto.
Lei è stato uno dei più attivi nell’accompagnare il progetto Egea verso il traguardo finale. Ci racconti quel percorso.
La nostra idea era dar vita ad un museo per recuperare la memoria di quanto accaduto in quegli anni offrendo la sua conoscenza ai visitatori non in modo tradizionale. Per capirci, non una semplice esposizione di oggetti e documenti ma l’inizio di un lavoro di ricerca e approfondimento che arricchirà nel tempo Egea anche con la collaborazione di altre comunità che hanno vissuto il più grande esodo della storia italiana. In ottobre siamo stati ospiti dei sindaci di Trieste e Gorizia. Abbiamo preso l’impegno di raccordarci per future iniziative.
Avete già delle idee?
Diverse. Vogliamo diventare un punto di riferimento nazionale e internazionale per le comunità giuliano-dalmate nel mondo operando tramite un portale web in cui conservare le biografie e la documentazione relativa agli esuli, alle loro famiglie e ai discendenti. E poi, attraverso attività culturali e turistiche, sviluppare la ricerca e la conservazione della memoria dell’esilio italiano dalla Venezia Giulia (i territori dell’Istria, Dalmazia e Quarnaro ceduti alla fine della seconda guerra mondiale dal governo italiano, come debiti di guerra, alla Jugoslavia comunista) e delle tragiche vicende che lo causarono. Spero che il museo Egea contribuirà a far riflettere le nuove generazioni su una pagina della storia d’Italia tra le più drammatiche ma anche meno conosciute.
Parliamo dei 4.000 esuli che sono passati o si sono stabiliti a Fertilia. Ma l’esodo dei profughi in fuga dal regime di Tito è un fenomeno che ha toccato tutto il mondo. Centinaia di migliaia di persone.
E’ così. Lei ha visto nella parte superiore del museo un’immagine che l’ha incuriosita e che voglio illustrarle nel dettaglio. Abbiamo collocato sulla sinistra dei pannelli su cui sono tracciate tutte le parti del mondo. In quello di destra si trovano invece i paesi italiani da dove gli esuli sono partiti. Un filo di lana rossa consente a chi ha vissuto sulla propria pelle quei viaggi disperati o ai loro discendenti di scrivere su un cartellino, che il filo attraversa, il proprio nome e quello della località dove ha vissuto la seconda parte della sua vita. Sono già diverse le persone che in questi pochi mesi dall’apertura dell’Egea ha tracciato sui pannelli il cammino doloroso percorso in prima persona o da loro congiunti. Quel filo ci farà raggiungere tante persone e reperire nuovi documenti, foto e storie. Le associazioni degli esuli in Italia e i Circoli dei sardi saranno al nostro fianco in questa ricerca della memoria.
Il vostro museo è uno scrigno piccolo ma prezioso. Lo amplierete?
Si, proprio qui accanto, verso il Calich, ci sono edifici dismessi che possono aggiungersi al padiglione delle Officine Egas dove siamo ora. C’è nella storia di Fertilia un capitolo di fondamentale importanza che tutti dovrebbero conoscere: le bonifiche della Nurra fino alla nostra borgata. Cominciarono nel 1933 e vennero realizzate dalla Società Bonifiche ferraresi. Un intervento deciso dal governo per recuperare 11 mila ettari di aree malsane, piene di acquitrini, dove la malaria imperversava. I tecnici e gli operai ferraresi e veneti lavorarono sodo anche perché intendevano realizzare al più presto case coloniche per portar giù le famiglie. Ma per loro e per gli esuli fu una vita dura e difficile. Molti furono costretti a risiedere in alloggi precari, al limite della vivibilità.
Chi era Don Francesco Dapiran e che ruolo ha avuto nella storia di Fertilia?
Era un prete Istriano, nato il 12 giugno del 1914 a Rovigno. Guidava la parrocchia di Orsera dove i “titini” compirono gli eccidi più efferati contro gli italiani, riempiendo le foibe di povera gente innocente. Per essere colpevoli o sgraditi al regime bastava essere un funzionario della pubblica amministrazione, un politico, un prete. Anche il futuro di Don Dapiran era quindi segnato. Finché restò a Orsera visse in prima persona il dramma degli infoibati. Il suo vescovo lo aveva inserito nella commissione che doveva procedere al riconoscimento delle vittime. Un incarico terribile. Poi il regime gli notificò il provvedimento di espulsione.
Arriverà a Fertilia nel febbraio del 1947 inviato dal vescovo al quale De Gasperi aveva chiesto un uomo di sua fiducia da affiancare alla Commissione tecnica che doveva verificare la possibilità di sistemare immediatamente parte della popolazione istriana in Sardegna, e in particolare a Fertilia. Una giusta preoccupazione perché di lì a poco sbarcarono al seguito di don Dapiran 400 pescatori giuliani con i loro pescherecci provenienti da Chioggia. Questo sbarco ebbe l’effetto di accrescere il problema del sovraffollamento e della carenza di alloggi.
C’è un motivo particolare che vi ha spinto a inaugurare il museo il 12 giugno 2021?
Sì c’è. Quella data ha un profondo valore simbolico per la nostra comunità: si tratta del 107esimo anniversario dalla nascita di Don Dapiran, cioè dell’artefice principale della realizzazione della borgata di Fertilia. Era un uomo d’azione, con un carattere forte, disposto anche a scontri durissimi per difendere la sua comunità. Aveva conoscenze di altissimo livello. Per far si che i tanti problemi di cui soffriva la borgata venissero risolti riuscì a coinvolgere diversi uomini di governo, tra cui Alcide De Gasperi, Antonio Segni e Giovanni Gronchi, ottenendo un’accelerazione nel completamento o nella costruzione di diversi edifici importanti e di un primo nucleo di abitazioni dove gli esuli trovarono finalmente una sistemazione dignitosa. Ebbe il grande merito di rappresentare un punto di riferimento in una comunità multietnica nella quale non fu sempre facile l’integrazione. L’estrema povertà dovuta alla guerra provocava spesso incomprensioni tra la comunità Giuliano-Dalmata e la popolazione locale che aveva difficoltà a comprendere il dramma vissuto dagli esuli giunti in Sardegna.
A partire dagli anni ’60 la vita a Fertilia si stabilizzò consentendo a Don Dapiran di seguire i lavori di costruzione della chiesa, dedicata a San Marco, e del campanile, che venne eretto tra il ’55 e il ’59. Cominciarono i primi matrimoni misti tra giovani di diverse provenienze e si realizzò quella che sembrava una chimera: l’integrazione delle comunità. Don Francesco è stato parroco di Fertilia per 45 anni, dal febbraio del 1947 al 25 ottobre del 1992. L’ultima parte della sua esistenza l’ha trascorsa nella sua Rovereto dove il 21 aprile del 2000 ha cessato di vivere.
Chi ha contribuito alla realizzazione del museo Egea?
Il progetto ha usufruito di un finanziamento europeo destinato a progetti culturali. A questo si sono aggiunti i contributi della Camera di Commercio di Sassari, della Fondazione di Sardegna, del presidente del Consiglio regionale, Michele Pais, algherese (da bambino tra i chierichetti di don Dapiran), della Fondazione Decima Regio “Olga e Raimondo Curri” e il sostegno della cooperativa sociale Solomare e dell’associazione Egea. Ora cominceremo a pensare agli altri progetti sperando di incontrare anche la sensibilità e il sostegno dei privati.
Gibi Puggioni
One Reply to “Mauro Manca: “Fertilia è stata nel dopoguerra terra di integrazione e fratellanza per gli esuli giuliano-dalmati. Il Museo Egea è una luce accesa sulla memoria. La storia non si cancella””
Come Città di Alghero siamo Onorati ed Orgogliosi di avere Ospitato dal 1933 , prima Comunità dei Ferraresi , Veneti, che hanno Bonificato il territorio della Nurra ,trasformando una terra malsana , invasa dalla malaria, ad un ” giardino” .
Dopo la 2 guerra mondiale, nel 1947 la Comunità dei Giuliani, Istriani, Dalmati, esuli dalla propria Terra.
Da Sindaco di Alghero, ho salutato Don Dapiran, nel maggio 1978, paragonandolo a Mose ‘ ,alla guida del Suo Popolo verso la ” Terra Promessa “.
Una Figura Carismatica.
Si distingueva nel Clero Diocesano. Era Amato dalla Sua Gente. Si interressava di tutto.
Era molto sentito a Roma presso il Governoo, dal Presidente del Governo Alcide De Gasperi, Antonio Segni. Personalmente l’ ho sempre rispettato.
La Sua Persona rappresentava la Sofferenza patita del Suo Popolo, l’ Anima della sua Gente.
Attualmente ne parlo con Don Antonio Tedeschi, anche lui Giuliano, che dopo un lungo periodo di Servizio Pastorale a Roma, è rientrato a Fertilia.
Negli ultimi anni è stato Parroco di Romana.
Il 3 novembre us. Ha lasciato la Parrocchia di Nostra Signora degli Angeli di Romana a Don Gianni Nieddu, Parroco di Uri .
La presenza in questi anni ad Alghero di queste Comunità ha arricchito la Città, dandogli una Dimensione Internazionale.
Oggi, è da ringraziare Mauro Manca, che con il Museo ed i rapporti Internazionali che ne seguono, rimane vivo il RICORDO .
GRAZIE